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Critica - 3a Giudice

Salvatore Lanzafame

Isola, oggi al mattino.

Un mare blu cobalto e una linea di costa nella calligrafia autografa di un frastagliato corsivo, ancorché anonima: sennonché, sullo sfondo campeggia la sigla internazionale della nostra isola. L'Etna s'intravvede nel velame che la distanza frappone allo splendore del mattino, in una visione dall'alto che al punto di vista eccentrico, rispetto a quella da intus dei fenomeni che S.L. scandaglia, va vista sinotticamente ai suoi dipinti dedicati al vulcano ovvero la Montagna.
Antomasia per chi non ha parametri per un confronto che scompagina le classificazioni tecniche perché viene direttamente dal mito e al mito ritorna, ancorando la presenza del gigante buono-fino-a-prova-contraria, quella presenza a un sottofondo mai troppo occultabile, al mito ritorna. Percorsi imprevedibili, della pittura e delle sue mitografie, anche: ma via brevis alla razionalizzazione che riconduca il mondo a ordine e proporzione, a regola e misura.

Un motivo tematico da richiamare per necessità intrinseche al lavoto di S.L. Verranno in mente, a chi cerchi riscontri nel repertorio avìto, William Turner, Caspar David Friedrich, il Thomas Cole affascinato dal Vesuvio, in una versione romantica temperata dalla lettura di Virgilio: precedenti imprescindibili, se mai furono modelli da cui, comunque, S.L. si è affrancato per tempo. Nella sua pittura, i luoghi sono fuori portata di ogni ammiccamento attualizzante, per es., in chiave ecologista, con le sue divinità benedette dall'arte più di quanto ci si debba ingraziarsene le benedizioni per il tramite di essa. L'accostamento apparirà inevitabile: un vulcano o un focolaio virale, una fontana di lava come un getto di droplet, un cluster di germi come un cratere in ebollizione, effusione lavica e contagio morboso, col timor pànico che si accompagna a entrambi: ma le analogie sono fuorvianti, in questo caso, se si vive sotto il vulcano e se con lui si convive nella propria pittura.

S.L., di casa dentro e fuori di essa, volge la sua attenzione a un contesto pre-mitico: non per questo rimesso all'occhio di riguardo del naturalista. Quando può sembrare che qualche squarcio si apra nella coltre di esalazioni, effluvi, masse di nubi e nebbie d'alta quota, non si tratta di zone franche: focalizzare l'obiettivo su una roccia, scontornare un gorgo lavico, una parete ghiacciata o un rivolo che, nel disgelo, ristagna o fluisce lungo un antico canale di scorrimento del magma, non ha niente a che vedere con la lucidità patinata che la fissa, nulla vi è di descrittivo: l'occhio prismatico, trasferiti al pennello i fotorecettori secondo l'anatomia comparata dislocata e vicaria dell'artista, con l'olio che vi scorre a mo' di umor acqueo, ha dato al dettaglio la visibilità di una lettura in controluce e vagamente allucinata.

Rocco Giudice (2021).


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